31 gennaio 2013

CHIARA GOES TO PALESTRA

La mia mente ultimamente vaneggia. Ho deciso di andare in palestra.
Per davvero, eh, stavolta. Mica come due anni fa che mi sono iscritta per due anni e poi ci sono andata 2 volte. Una briga andarci mai vista. Poi mi stava su che era in culo al mondo e che era sempre imballata di gente. Cioè, già c'hovoglia di star qua come di prendere delle sberle, poi mi tocca anche aspettare mezz'ora per soffrire su una cyclette. MA MAI.
Poi la Gianna ha iniziato. Mi diceva che faticava, ovvio. Poi io facevo la galla e dicevo "Eh ma Gianna, hai 'na bella voglia alle 6 di sera dopo aver lavorato 8 ore, andare a sudare" Ma lei convinta. Io che di ore ne lavoro 6 avrei voglia solo di
a) pigiama;
b) biscotti con gocce di cioccolato;
c) Real Time coi matrimoni truzzi di Enzo Miccio (che poi piango sempre anche se aborro tutto quel mauve (Enzo. PER CORTESIA. Si chiama viola) e quei burini arricchiti che lo chiamano per farsi fare un matrimonio sempre in posti in Culonia. Però piango tanto quando all'altare si scambiano le promesse)
 Poi io di ore ne lavoravo più di 8, uscivo sempre alle 8 di sera minimo e appunto la mia vita era pigiama e Real Time con il re del cioccolato Erns Knam.
 
Questo gran figo di un crucco è un folle che fa delle mega torte di cioccolato. Ma mica quelle porcate condite col compensato del Boss delle Torte. Questo è se possibile ancora più gasato e dittatore del suo rivale ammeregano, ma è BRAVO. Proprio bravo. Poi vabbè, a me dai un copertone con spalmata una cucchiata di Nutella e mi fai felice, ma lui fa delle torte bellissime. Si diventa bonzi solo a guardarle.
Non a caso, nell'ultimo anno, vuoi la sedentarietà durante la disoccupazione, vuoi la sedentarietà durante il lavoro (6ore e passa al pc e ciao maniglione dell'amore, come va?), vuoi che mi sa briga fino alzarmi dal letto per bere (al mattino ho di quelle arsure che boh), vuoi che mio babbo è entrato nel tunnel "Stoseguendounatrasmissionedipasticceriedevoprovaretuttelericette" e quindi in questa casa ci sono il doppio dei dolci che giravano prima (e anche prima non erano pochi), vuoi perchè io un dolce a fine pasto devo mangiarlo, perchè se no non sto bene, insomma, qui si è diventati bonzi. Ma tanto. E finchè me ne fotto ok, poi però mi alzo un mattino e mi sveglio proprio.
CHIARA. BASTA. QUI SI E' BONZI. BASTA MERENDINE, BASTA DOLCETTI. Ma quelle praline al marzapane del babbo sono così buone. NO. HO DETTO BASTA. Mamma, cosa fai da mangiare? I cappelletti. Vabeh, sono piccoli, cosa vuoi che facciano 350 cappelletti? NO. BASTA. Ma quel creme caramel al cioccolato che il babbo ha fatto apposta per me? Sarebbe maleducato non mangiarlo. NO, HO DETTO NO. Ma sabato andiamo a Sestri. Devo mangiare la focaccia, la focaccia farcita, il semifreddo al gusto Ferrero Rocher e la sfoglia coi mirtilli del "Polpo Mario". DEVO! NO! BASTA!!
Quindi l'altra settimana sono partita e ciao palestra, toh sto bancomat, salassami e fammi sto cacchio di abbonamento annuale.
Quindi, domenica mi sono preparata la roba.
Poi.
Eh, che peccato. Lunedì nevica. Non esiste che io esca con sto tempo. Sto a letto, poi ho appena visto sul giornalino dei programmi che alle 4 c'è Enzo che prepara il suo solito matrimonio pacchiano. Ho proprio bisogno di frignare una mezzoretta. OTTIMO! Pannetto e mi guardo i "Wedding planner"!!
Martedì? No. Ho mal di testa. E andare a faticare col mal di testa non mi sembra una furbata. Lo faccio per il mio fisico.
Mercoledì? Ste magliette mi stavano un anno fa quando ancora entravo in QUEI jeans, devo stare larga nella maglia per due motivi: a) sudo, non posso stare stretta nella maglia; b) il culo va coperto. Quindi anche oggi, oh che peccato!, devo andare a comprare le due magliette scrause.
 
Giovedì. Oggi, Chiara, TI TOCCA. Non hai più palle.
Preparo la roba.
Vado.
Il personal trainer (personal.....insegna anche a quelli che passano per strada) mi da degli esercizi.
"Cosa vuoi fare?"
"Uhm, beh del movimento, non ho esigenze specifiche"
"Facciamo un po' di rassodamento"
(Lo so che non sono tonica, che palle, oh, sarai bello te con quelle spalle) "Ehm, ok"
"Hai altre esigenze?"
"Mah, fare un po' di fiato, perchè sono sempre seduta"
"Ok, guarda ora ti preparo la scheda poi ti dico"
 
Tempo 3 secondi e eccolo raggiante. "Chiara, vieni che ti spiego".
 
"Allora qui hai 20 minuti su quest'attrezzo che ti fa lavorare le gambe e le braccia"
CIOE', IO TI DICO CHE MUOIO ANCHE A FARE DUE GRADINI E MI FAI CORRERE 20 MINUTI??? Vabeh.
Inizio.
Dopo esattamente 3 minuti e 45 secondi sento il cuore che mi sta esplodendo. Mi viene da vomitare e voglio il mio pannetto e Ernst Knam che insulta i suoi dipendenti.
Continuo.
Tempo 3 secondi e sul tapis roulant di fianco a me viene un vecchio. Corre come un folle a una velocità doppia rispetto alla mia e neanche un goccino di sudore o un principio di infarto.
VECCHIO, TRA UN MESE VEDRAI CHI RIDERA' SOTTO I BAFFI (perchè quel ghigno, secondo me non era fatica, ma presa in giro nei miei confronti).
Finisco i miei 20 minuti a fatica (mi sono dovuta fermare 2 volte, la prima facendo finta di allacciarmi le scarpe, la seconda per rifarmi la coda di cavallo. Hahahahahah!! Che scaltra!!), poi ho fatto gli altri esercizi. Per le gambe e per la mia povera spallina che esce ancora a caso. Dopo due ore di fatica me ne vado. Per il primo giorno può bastare.
Ho salutato il personal trainer tutta timida, non sia mai che si ricordi di me e se salto una volta poi mi viene a rompere le balle.
 
 
(Non sono così: non ho quella panza (a breve se non la smetto con le praline sarò così) e poi sono mora, eh)
 
Nello spogliatoio per caso mi sono guardata allo specchio. Ero rossa ovunque, in faccia, nel collo, nelle braccia, nelle mani e nelle gambe. Un bagno di sudore. Anche farmi la doccia è stato faticoso. Minchia, che agilità.
Comunque, c'è da dire che anche dopo due ore di movimento il fisico ne risente, io mi sento più leggera rispetto al solito. Certo, mettermi i calzetti antiscivolo è stato doloroso e forse non me li leverò mai più, però sto meglio. Effettivamente muoversi fa bene. Ma pensa te che scoperta.
Che poi io stasera vada a spararmi i bretzel, è un altro paio di maniche. Ma mi sentirò meno in colpa.

A. mi ha chiesto "Com'è andata?" 
La mia risposta "90% di acido lattico, 10% di Chiara"

Domani alzarsi dal letto sarà una merda.

20 gennaio 2013

NON RIEN DE RIEN, NON, JE NE REGRETTE RIEN


Sono tornata. Eeeeeeeeh. Va beh.
Comunque il dovere di cronaca mi impone di raccontare il mio viaggio a Parigi. Soprattutto perchè io ero carica per questo viaggio, carica di aspettative. Mi aspettavo di tornare fine, con un allure parigina che te la raccomando, invece quei 6 giorni mi hanno reso un sacco di bile riottoso e con un odio per i francesi e tutto ciò che li riguarda (tranne il cibo e soprattutto i dolci) che la metà basta.
John McEnroe ha detto di Parigi che "sarebbe un bel posto se solo si riuscisse a mandare via tutti quelli che ci abitano". McEnroe è esattamente QUEL McEnroe, il tennista folle che se perdeva spaccava la racchetta da tennis (che minimo è in titanio) e iniziava a maledire arbitro, avversario, pubblico e anche il raccattapalle, perchè, non vuoi insultare anche il raccattapalle? A me McEnroe è sempre è sempre stato simpatico perché era straincazzoso e dopo sta citazione che ho scoperto navigando forsennatamente sul web, me lo godo anche di più.
Comunque, devo dire che durante il periodo prima di partire sono stata, come posso dire? Monotematica, insopportabile, pesa come il piombo? Sì, diciamo così. Qualunque cosa parlasse di Parigi, della tour Eiffel, di Montmartre doveva essere mio. E lo è stato, ovvio, libri, quadri, quaderni, cartoline, tutto.
Poi è arrivato il momento della partenza. Premesso che durante la settimana di Natale ho lavorato, per di più facendo il turno da mezzanotte alle 6, non mi sono nemmeno resa conto che "Oh, allora domani partiamo, eh?" Domani? Come DOMANI?!?! E' già il 29? Ma io devo fare un miliardo di cose prima di partire, tra cui dormire circa 50 ore. La valigia è ricolma di roba, tutta roba beige e di lana, qualche tocco di nero e di perle, perchè a Parigi bisogna essere FIGHI. Far capire che io mi lavo, innazitutto.
1° GIORNO
Partiamo, due zombie, io con un sonno incredibile, quel sonno bastardo che non fa dormire perchè il corpo è talmente pesante che se si lasciasse andare finirebbe come un cumulo di carne (molta) a terra. Quindi ero vigile, talmente vigile che si è fidato a farmi impostare il navigatore. Questa è proprio fiducia. E' stato un viaggio de merda, detto finemente, per la nebbia che ci ha scortato come la migliore bodyguard fino a Milano. Quella Milano in cui ci fermiamo per fare colazione. Io mi caccio nello stomaco un cappuccio che mi regalerà un mal di stomaco spaziale fino a sera. Bello. Comunque arriviamo al parcheggio e durante la strada ci facciamo delle domande del tipo: Ma siamo in Italia? Sembra il Maine di Stephen King. Guarda sto bosco. Il Berry malefico non ha neanche segnale. Se ci rapiscono non possiamo neanche avvisare. Poi, dai il parcheggio è troppo imboscato, qui adesso ci fanno a pezzi e ci seppelliscono di fianco a sto torrentino.
Invece no. Il parcheggio è in mezzo al bosco, e la temperatura deve aggirarsi intorno ai -20°. La navetta ci porta all'aeroporto e eccoci a Malpensa. Me la ricordavo diversa. I negozi sono di una pietà indicibile. Io volevo comprarmi uno smalto Chanel a un gazzo, invece c'era Kiko, che vabbè tutto, ma gli smalti scrausi me li compro anche a casa pagandoli quello che devo pagare. Vabbè, sarà stato il gate venuto male. Arriviamo e nell'attesa dell'imbarco, come la peggiore burina italiana che si rispetti, inizio a mettermi lo smalto rosso lacca. Alla fine avevo paura che scambiassero l'odore dello smalto per un indizio di bomba e che mi arrestassero. Invece NOH! Ho ricevuto qualche occhiataccia dal russo seduto di fianco a me che per esprimere il suo disappunto ha iniziato a fare degli impercettibili rutti proprio nel mio orecchio. Volevo sputargli in faccia. Poi però mi hanno obbligata a lasciare perdere. Vabbè, il volo è andato bene. A parte l'odiosa sensazione durante il decollo di assenza di terra sotto i piedi (ma va?), ho guardato fuori dal finestrino tutto il tempo, maledicendo la mia povertà che non mi permette di comprarmi biglietti in business class, che è grande, e quindi mi avrebbe permesso di stendere le gambe. Ora, dai EasyJet, io ti voglio bene, però, vogliamo allargarli sti posti a sedere? Minchia, ma neanche sul bus sto così scomoda, e sul bus c'è il vecchio folle coi Rayban rossi e il ragazzo che spara facendo finta di aprire le porte, eh. Cioè, io sono nana e sono scesa con le gambe a angolo retto. Immagino il tipo dietro di me, altro tipo 8 metri. Un viaggio, un'agonia. Vabbè, però nel frattempo, chapeau alla Francia che ha un sacco di pale eoliche e non rompe il cazzo sulla questione estetica ma si fa l'energia in casa col vento e non va in debito con la Russia.
Siamo giunti. Io ho iniziato a odiarli in areoporto, i francesi. Ho iniziato quando non c'erano i cartelli che indicavano i treni navetta per Gare du Nord, li ho odiati quando ho scoperto che le biglietterie automatiche prendevano solo monete o carta di credito, li ho odiati quando non hanno fatto passare A. dall'ingresso verso i treni, li ho odiati quando i pannelli informativi con le direzioni dei treni cambiavano nel giro di 0.3 secondi, li ho odiati quando il tipo che si è seduto di fianco a me sul trenino-navetta era chiaro che non si lavava da parecchio tempo. Ero già tesa. Poi a me arrivare in un posto che non conosco mette ansia. Poi se il posto non mi convince subito, io sono scettica. Arriviamo a Gare du Nord. Non è una stazione, è una città. Il nostro alberghetto (povertà is the way) è lì vicino. Tempo 5 minuti e siamo in albergo. Chiedo per gli orari della reception. Capisco "After midnight you go to bed" Ero già incazzata. A. no. Mah. Poi gli chiedo chiedo "Ma ste merde che non ci fanno entrare dopo la mezzanotte?" e lui "No ma guarda che ha detto che dopo mezzanotte, "you ring the bell". E poi IO lo prendo in giro perchè non parla inglese. Poverino. Vabbè, la camera è bella. EEEHEEEEHH!! Grande GIUOIA!! Ma il bagno non ha il bidet. DOVETE MORIRE, CAPITO!!??!! Vabbè, usciamo alla ricerca di uno shampoo e un bagnoschiuma (la povertà è sempre lì, per risparmiare sul volo abbiamo scelto di portare il bagaglio a mano quindi, zero liquidi). Giriamo un po'. Niente, questi proprio non si lavano, non troviamo niente che si avvicini a una profumeria o un negozietto, niente. E non è che Gare du Nord sia nelle banlieu, eh. Poi sbagliamo strada e ci troviamo a Harlem. Noto che siamo gli unici bianche nell'arco di un chilometro. Poi giriamo: ci sono un sacco di barbieri pieni di gente che si sta facendo fare le treccine, negozi con vestiti tipici africani e ristoranti algerini. Se non fosse che non mi sembrava bello fotografare i barbieri che intreccinavano i ragazzi, avrei fotografato tutto, mi sembrava il barbiere del "Principe cerca-moglie".
Al ritorno dopo una cena chiccissima al McDonald abbiamo scovato un negozietto che vendeva di tutto, quindi potevamo comprare la roba per lavarci. Spesa: 25 euro. Cioè, due deodoranti, uno shampoo e un bagnoschiuma 25 euro. Ora, io capisco che queste cose loro non le usino e siano beni di lusso, ma 25 euro. Poi voleva fare il simpatico, capito? Parlava italiano....Ci ha detto "Grazzzzzie milli" quando gli ho sganciato i 25 euri. Maledetto. Vabbè, torniamo in camera. "Sono morto, saranno le undici" "...." "Che c'è?" "Sono le 8e15". E ho detto tutto
2° GIORNO
Decidiamo (cioè, IO decido) che voglio andare a Canal St. Martin perchè la mia guida (che sapevo a memoria, che manco la Bibbia) diceva che la domenica c'è il mercatino lungo il canale, ci sono gli artisti di strada e se magna, ci sono un sacco di bancarelle dove comprare stronzate e si può sorseggiare un caffè sulle panchine. Arriviamo.
(Canal St. Martin)
Il canale c'è. Le panchine pure, ma del mercatino neanche l'ombra. Camminiamo. Tre ore ininterrotte di cammino, se non per un caffè sorseggiato sulle panchine lungo il canale (tanti cuori!) e una smadonnata ai francesi che non hanno bottigliette di plastica d'acqua ma solo di vetro che non ti danno per andare in giro. L'acqua ve sta proprio sui maroni, oh. Comunque arriviamo a Notre Dame. E' grande, ma non così grande come pensavo. Cioè a me piace molto di più il duomo di Milano. O la Almudena di Madrid, o St. Paul a Londra. Quelle son cattedrali, mica ste due torri. Vabbè. Di fronte c'era una mega gradinata stile stadio Tardini che a livello estetico era abominevole, ma comodissima perchè ci si poteva sedere a mangiare e intanto si poteva guardare la Senna, Notre Dame e il parco di fianco. Una marea di gente. Gente che su sta gradinata saltava e urlava, cioè saltava e urlava di fianco a ME. Ma vai a urlare di fianco al tuo amico, cosa vuoi da me.
Poi la mia guida, anche se ormai, guida io non ti credevo più, dice che lì vicino c'è la famosa libreria "Shakespeare & Co.".
(Shakespeare & Co.)
Decidiamo di andare e io a momenti mi metto a piangere. Io voglio vivere, lavorare e morire lì dentro. Milioni di libri, tutto in inglese, chè il francese è una lingua di merda. Tutti accatastati, come chiunque di noi fa in casa. Poi si sale al piano superiore e sembra di entrare in una cameretta, luci soffuse, un piano forte incastrato tra un letto, e un minuscolo tavolino. Una nicchia con delle mensole in cui sono ficcati a forza dei libri. Una finestrella che da su un pezzo di tetto in piano su cui si può giocare. Un odore di carta che a momenti mi piglia lo svenimento. Un luogo di paradiso infilato a forza tra una mega cattedrale e un minuscolo ristorante. Sono uscita con un magone indecente per la mia solita maledetta povertà che non mi permette di sganciare assegni a vuoto per comprare quella libreria. Ma mi permette di comprare una cartolina e di trafugare i segnalibri aggratis. Che mestizia. Proseguiamo il nostro giro camminando a vuoto, girando per il quartiere latino, finendo dentro un negozio che vendeva solo cioccolato: cioccolato di tutti i tipi e forme. Un paradiso. Continuiamo il giro in tondo, tornando sulla Senna.
 
(Bancarelle sul lungo-Senna)
Qui ci sono le bancarelle che vendono libri usati, stampe e disegni. Cose per cui mio nonno sarebbe impazzito. E per un momento a pensarlo in mezzo a tutte quelle cose che lui amava mi è venuto il magone. Mio nonno era particolare, non mi sono mai confidata particolarmente, ma la sua assenza la sento proprio perché la sua era una presenza silenziosa e osservatrice.
Siamo arrivati al Louvre. Una coda interminabile. Gente che si faceva fotografare mentre faceva finta di toccare la piramide, come quei ritardati che fanno finta di sostenere la torre di Pisa. Una fantasia che te la raccomando. Io ero già un po’ provata. Poi stavo litigando col sacchetto del rudo che mi portavo dietro dal pranzo, perché a Parigi non esistono i cestini. Ora capisco perché il tipo (francese, ci terrei a sottolineare, quindi non un turista estero) dopo essersi soffiato il naso ha cacciato il fazzoletto per terra. Ma fai schifo, te lo farei ingoiare il tuo fazzoletto.
Facciamo un giretto per Rue de Rivoli e lì trovo un negozio che vende solo biscotti, ma biscotti sciolti, ho speso una fortuna per 3 biscotti che avranno avuto un peso specifico i 2 etti ciascuno. Dei Grisbì giganti con una padellata di crema al limone dentro. E le madeleine. Uh. Buone. Decidiamo di incamminarci verso casa e in attesa della metro A. nota che c’è gente non proprio così affidabile e io con molta tranquillità lo informo che “Se ci danno fastidio gli tiro il sacchetto dei biscotti in faccia. Minimo li faccio svenire”. Alla sera andiamo a cena con un amico di A. che era lì per un paio di giorni. Ci vediamo all’Hotel de Ville. Noi da persone molto cosmopolite quando ci chiama per dirci il posto dell’incontro gli chiediamo “Ma in che via è sto hotel?” Siamo veramente due capre che la metà basta. Comunque il municipio (perché l’Hotel de Ville è il municipio) è bellissimo, tutto illuminato e da su una piazza molto grande, ma non troppo che ospita una pista per il pattinaggio, una giostra in stile antico e il bugigattolo del vin brule e delle crepes (ma ciao!!).

(Hotel de Ville)
Bello. Poi dando sulla Senna, ha un fascino molto particolare, specialmente di sera. Il freddo è polare, anche perché io, volendo darmi un tono mi sono vestita da persona di spessore, con le parigine di vernice e stavo bestemmiando per il dolore. Andiamo a Marais, quartiere caratteristico dietro l’Hotel e cerchiamo una brasserie dove cenare. Il quartiere è molto carino con dei negozietti particolari che vendono abbigliamento vintage e accessori. Ora, io pensavo che almeno a Parigi il vintage fosse vintage, cioè vecchio ma figo. Invece no. Roba che in solaio ne ho di forse più bella. A parte un vestito rosa cipria (a un prezzo esorbitante) per cui avrei venduto mia madre e grazie a cui avrei potuto farmi perculare per tutta la vita. QUEL vestito era bellissimo.
 
(IL vestito)
Arriviamo in una brasserie molto carina coi tavoli in legno e da fuori si sente la musica. Decidiamo di fermarci lì. Erano le 9, quindi non tardissimo. Ci sediamo e ci portano il menu. In francese. Vabbe, io decido per una entrecote. Dopo circa 8 anni, il cameriere viene e ci informa che la carne è finita. Alle 9. Vabbè, ripiego su una Caesar Salad. Dopo altri 8 anni porta le varie ordinazioni e a me porta la Caesar Salad. Con sopra circa 10 acciughe. Che voglio dire, già un’acciuga impesta la casa, immaginiamo 10 acciughe in una minuscola zuppierina con dell’insalata è la morte dell’anima. Levo tutto con un’espressione tanto avvilita che secondo me se n’è accorta anche mia mamma che stava a Parma. Mangio quello che c’era ancora di commestibile e senza il sapore di quel pesce malefico e poi tento di ordinare un dolce, ma quando chiedo il menù al cameriere lui mi risponde in francese. E io non capisco. In inglese gli chiedo di ripetere. Lui mi risponde in francese, al che ho rinunciato. Vai a cagare te e quella mousse che sicuramente sarà stata immangiabile (certo, come no).
Camminiamo ancora per Marais e noto le boutique vintage VERE cioè quelle che ti smollano le borse a 500 euro. Il vintage vero non me lo posso permettere, ho concluso. Ci avviamo verso la metro. Quello che mi ha più colpito di Parigi è la grande differenza sociale tra le persone. In giro ci sono le signore abbigliate Chanel dalla testa ai piedi, perfette e impeccabili e di fianco il barbone lurido e seduto per terra che chiede l’elemosina. Si vedono le boutique tipo Louis Vuitton, Yves Saint Laurent e di fianco il barbone che chiede l’elemosina. La differenza si nota anche perché il numero dei barboni è veramente alto, una cosa veramente terribile a pensarci. Poi sono organizzatissimi, roba che hanno tende da campeggio, materassi, cuscini e coperte. Una tristezza, non tanto per lo spettacolo che, voglio dire, chi se ne frega, mica mi danno fastidio, ma proprio la loro organizzazione è sintomo di normalità. Cioè è la norma per loro vivere così, è gente che è abituata a vivere così e chissà per quali ragioni sono lì; e questo mi ha messo veramente tristezza, nel vero senso del termine, dispiacere.
Altra cosa che mi ha colpito di Parigi è la grande sporcizia, non solo nel nostro quartiere, che era non centralissimo, ma comunque in città e vicino a una delle stazioni più grandi di Parigi, ma anche in centro, dal Louvre o dalla Torre Eiffel. Per dire, dopo la mia trista cena stavamo aspettando la metro, ognuno soffrendo in silenzio (cioè, LUI soffriva in silenzio, io OVVIAMENTE mi lamentavo) per il mal di gambe, quando dall’altra parte della banchina vedo qualcosa che si muove. NO, CAZZO, DAI, MA NO, NON PUO’ ESSERE. Invece era: un simpatico topastro lungo e grosso che camminava allegro di fianco a un tizio a piedi scalzi. Stavo per vomitare. Non vedevo l’ora di tornare in albergo per lavarmi che neanche dopo tre giorni di febbre (a sto giro con la febbre ho avuto le caldane, quindi dopo 3 giorni di febbre senza doccia ero una merda). Ero senza parole. Per tre secondi, poi A. ha dovuto sorbirsi una mia filippica di dieci quindici venti minuti sul mio odio per sto paese, per quella ritardata di Maria Antonietta che doveva lasciarli schiattare di inedia, altro che pane, brioche e palle varie, per Sarkozy che si mette le scarpe col rialzo e per la Carla, anzi la Carlà, Bruni che ha una faccia da bocca inversa che porta via e giusto con un francese fascista e nano poteva stare. Povero A. Poi in camera mi sono bloccata. Mi sono ricordata che avevo ancora una madeleine del pomeriggio e quindi mi sono placata solo perché avevo la bocca piena di roba dolce. A. ha cambiato espressione e forse ha sperato in un mio rapido, quanto immediato sonno. Cosa che infatti è stata. Sono una palla al piede, lo so.
3° GIORNO
E’ il 31 dicembre. Che gazzo facciamo stasera? Niente, troppo SBATTY pensare a ste robe, quindi decidiamo di mandare a cagher la guida e seguire le indicazioni dell’amico di A. che ci ha spiegato un paio di trucchetti per evitare le code inevitabili in qualsiasi angolo di Parigi (ecco, un’altra roba assolutamente insopportabile per una come me che è sempre agitata e odia aspettare. Per mangiare, entrare in un museo (notare le priorità), andare in bagno, prendere una crepe, sempre sta minghia di coda). Comunque, il suo amico aveva consigliato di prendere il biglietto cumulativo per il museo dell’Orangerie e per il Musee D’Orsay, così da fare solo una coda. Noi siamo intelligenti (sta volta per davvero. EEEEHHH!!!) e decidiamo di andare prima all’Orangerie che è più piccolo e quindi ci sarà probabilmente meno coda. Poi è in una posizione strategica (davanti al Louvre, all’inizio degli Champs Elysee) ma nascosto dal parco del Louvre. Arriviamo e infatti entriamo subito. EVVIVA. Mi perquisiscono (!?!?!; si dentro sta micro borsa ho il necessario per rubare i quadri), poi litigo con la bigliettaia, perché chiedere di non maledire tutta la stirpe gallica per un’ora non si può. Comunque chiedo due biglietti cumulativi, mi guarda e inizia a sproloquiare “sch,bdfgafjhgjfgewjfg mardredimxbvsdb” “Sorry, could you repeat in English?” “sch,bdfgafjhgjfgewjfg mardredimxbvsdb”  “I don’t speak French” (sottotitolo: tu non mi parli in inglese e io sto qua tutto il giorno, vediamo chi si rompe il cazzo prima) Mi ripete la stessa identica cosa,  io le ripeto che non so il francese (ma anche se lo avessi saputo a quel punto sarebbe stato per principio) e lei mi ripete ancora la cosa. Mi stavo innervosendo Ero incazzata come un’ape. Cioè sei la bigliettaia dell’Orangerie non del Museo Minchia, dell’Orangerie, un museo che ospita “Le ninfee” di Monet, cazzissimo, ospiti alcuni dei quadri più famosi e belli al mondo, ti capiteranno sotto mano miliardi di turisti e non parli una parola d’inglese?? Vabbè ma allora ditelo che vorreste che i turisti arrivassero, vi smollassero la busta coi soldi e tornassero a casa, per Dio. Comunque, dopo sto siparietto e la mia vena che già pulsava, con A. che tentava di capirci qualcosa, è arrivata in soccorso la Bigliettaia 2 che in un inglese da asilo mi spiega che il D’Orsay sarebbe stato chiuso il 31 e il 1 gennaio, quindi noi saremmo dovuti andarci mercoledì. Va bene accettiamo e poi entriamo nella sala delle “Ninfee”. Io stavo per svenire. Ero in piena sindrome di Stendhal. Enormi. Belle. Enormi. Blu e viola. Enormi. Mi sono seduta e neanche a 5 metri riuscivo a prenderle con un’occhiata, dovevo girare la testa. Sono stata tipo mezz’ora a osservarle, roba che adesso se avessi un minimo di manualità saprei rifarle uguali. Le altre sale si snodavano tra quadri di pittori più e meno famosi, e mi sono resa conto che nonostante le lezioni burla della mia prof di arte, mi ricordavo tuttotuttotutto. Ho anche sfoggiato una certa sapienza su Degas e Monet che ho giustamente ammutolito A. (forse pensava stessi raccontando delle grosse balle e come si fa coi matti, mi ha lasciato fare). All’uscita ci siamo resi conto di essere stati veramente furbi perché c’era una coda incredibile per entrare nel museo. Hahhaahha!
Visto che eravamo lì e in lontananza vedevamo l’Arco di Trionfo abbiamo deciso di arrivarci a piedi, facendoci tutti gli Champs Elysee. Ora, io rompo le balle e ok, ma tutta sta gran menata sugli Champs Elysee io non l’ho mica capita: è un’immensa e lunghissima strada a 6 corsie in cui sfrecciano macchine, taxi e pullman di turisti e sulla strada ci sono negozi e ristoranti più o meno fighi. Cioè, uno stradone ma più grosso. L’unica cosa che mi ha profondamente caricato è stata la pasticceria Luduree che come la peggiore delle Chiare Ferragni (per chi non la conoscesse, è una “fashion blogger” che vive di stereotipi: sono bionda e magrissima, quindi fighissima, vado da Starbucks e mangio macaron, io sì che sono figa, voi che mangiate il cavallo pesto siete dei plebei) mi ha esaltato per la quantità disumana di roba dolce. E’ caro come il fuoco, ma io avrei venduto mia madre per comprare tutte quelle tortine dolci, quelle tartatine avec framboises e quelle torte Opera (torta che mio babbo fa per il mio compleanno. Triplo cioccolato, grazie). Ovviamente A. mi ha visto in preda a una crisi glicemica e per farmi stare zitta dal mio delirio indicare ogni cosa (“Oh, guarda, quelle tortine coi frutti di bosco” “Minchia ma quanti macaron hanno?” “Voglio quella al quadruplo cioccolato” “No scusa ho visto quella con le fragole e la panna” “No però poi mi pento, voglio il cioccolato” “Ma magari prendo anche due macaron, che non posso andare da Laduree  e e non prendere i macaron”) mi ha gentilmente acquistato le pastine. Cioè, pastine sto cavolo: sono grosse e con su almeno 10 fragoline. Una persona normale ci farebbe merenda alla grande. Appunto, una persona normale. Io che sono obesa nell’anima e non solo, me le sarei sparate tutte. Poi sono proprio belle anche da guardare: tutti quei fragolini messi a fiorellino, la panna che fa i riccioli, la crema che non esce di un millimetro dalla pasta frolla, quelle decorazioni fatte di cioccolato. Ah. Che belle. Poi la confezione essendo molto democratica, mi ha fatto sentire molto ricca: quella confezioncina verde pistacchio e oro e quella scatolina rosa cipria con il logo, già con queste una persona si sente potente. Il negozio poi è proprio bello in stile rococò (credo, comunque dell’Ottocento. Il rococò dell’Ottocento? Vabbè, lo stesso), con la bodyguard che apre la porta (hahaha, te credo, se fossi stata più alta e più possente avrei scavalcato il bancone e preso più roba possibile), la hostess che indica la coda per acquistare o il tavolino se si vuole bere un te coi macaron….che bello. Una ricchezza che ciao. Come mi accontento di poco, deh, però.
(La morte)
Dentro miliardi di persone e un sacco di italiani, perché noi italiani siamo burini e sti posti che ci pelano ci piacciono. Davanti a me avevo una simpatica cumpa di 20enni, tutti accoppiati, tutto un “Amo, guarda che figa quella tortina, ma è piena di grassi. Prendo quella alla frutta, più piccola” “Si amo, tu prendi quella a quintuplo cioccolato, quella grossa come la mi faccia “ Si, amo per me un macaron alla fragola, ma tu per te prendi quello al cioccolato” Un odio incredibile. Io almeno quando ordino un dolce faccio la schizzinosa obbligando A. a dire che me ne prenderà un pezzettino, poi me lo spazzolo tutto io.  Mica faccio le scene che non mangio poi gli rubo il cibo dal piatto. Poi vabbè, siamo in coda da mezz’ora e perdi 8 ore per decidere cosa prendere proprio quando ti servono sti martiri di camerieri? Meriti di morire soffocato nel tuo Moncler.
Dicevo, usciamo e continuiamo questo cammino verso l’Arco. Ristoranti oggettivamente belli che ti offrivano un simpatico cenone alla modica e popolare cifra di 350 euro escluso il bere. A. aveva letto sulla nostra bibbia (Tripadvisor) che al ristorante Pino (o Giulio o Alessio) si mangia benissimo. Sti cazzi, Pino, 30 euro ‘na margherita? Ciao, vado al McDonald e crepa tu e la tua margherita.
Durante il cammino ho visto il negozio di Vuitton. Ora. A me Vuitton non piace, lo trovo molto da nonna, come Hermes, con la differenza che le borse di Vuitton le vende anche il marocchino più scrauso sulla spiaggia più scrausa d’Italia e quindi qualunque maraglia ce l’ha tarocca. Quindi per me Louis Vuitton è sinonimo di : anziano e tamarro. Poi a me quella roba lì non è mai piaciuta. Però il palazzo di Vuitton è esagerato: è proprio un palazzo, non un negozietto, no, proprio un palazzo che al piano terra ha il negozio (da cui usciva gente carica di roba, neanche le regalassero le borse), i piani alti erano per gli uffici e sul tetto c’era l’insegna, non troppo di buon gusto, a mio parere, con il nome della maison. E il palazzo era rivestito con mattonelle che riprendevano il logo del marchio. Ora ho capito perché una borsa di Louis viene una fucilata: dobbiamo ripagare il muratore che poveretto ha dovuto mettere quegli abomini alle pareti. BRAVO! Arriviamo dopo circa 10 ore di cammino all’Arco. Ecco, io sono rimasta delusa. Non è grande, non è maestoso, non è de Triomphe, gazzo, è un archetto in mezzo a un incrocio. E io sono nera, perché a me l’hanno venduto come maestoso, regale e immenso. Bah.
(L'arco di Trionfo. Mah)
Comunque decidiamo di andare alla Torre Eiffel. Ci fermiamo e pranziamo con una crepe. Va bene, francesi sto giro l’avete vinto voi. Devo soccombere alla crepe jambon au fromage. Devo. E sono contenta. Non riesco neanche a lamentarmi del freddo porco che sto patendo (brava, quella maglia con le borchie è stata una graaaaaande idea, tenuto conto che è leggerissima e che nessuno la vede, e forse è meglio così). Mangio e intanto ci avviamo verso la Torre. Arriviamo. E finalmente ammutolisco per quei dieci  tre secondi. E’ immensa, la base è grande, enorme, da proprio l’idea di possenza e autorità senza risultare pesante, nonostante sia, ovviamente, di ferro.
 
(La torre. Bravo Eiffel, i piloni sono fatti bene. Parola di A. e io mi fido)
L’animo ingegneristico di A. è venuto allo scoperto e ha osservato tutte le basi, la struttura e tutto l’osservabile. Io nel frattempo mi sono messa in coda, seduta su un blocco di cemento a mangiare un macaron (sempre perché ho delle priorità). Poi abbiamo osservato la coda. Un serpentone di persone lunghissimo che aspettava di salire con le scale. Cioè io aspetto 8 ore poi vado a piedi?!?!??! HAHAHAHAH VOI BEVETE!! MA FORTE BEVETE!!! Comunque abbiamo optato per lasciare la Torre gli ultimi giorni (cosa che si sarebbe rivelata infattibile, causa code esponenzialmente più lunghe di questa), e abbiamo fatto un giro per i giardini davanti alla torre, e nel quartiere lì intorno “Ti svegli al mattino per andare a lavorare, ti affacci e da una parte hai la Tour Eiffel e dall’altra la Senna. Sarei di buonumore persino io”. Senza contare le casette di fianco la torre, piccole, bianche col giardinetto, i fiori sugli abbaini (tanto amore per queste finestrelle che sbucano dai tetti), le ringhiere grigie e le tende in pizzo. Che belle. Siamo andati anche al Museo Quai Branly. Io non l'avevo mai sentito, ma ce l'avevano consigliato caldamente. Andiamo e effettivamente mi sento di consigliarlo anch'io: più che un museo, è un'esposizione sulle varie civilità mondiali (africana, oceanica e sud americana). All'ultimo piano ci sono poi le esposizioni temporanee. Noi abbiamo avuto il culo incommensurabile di trovare l'esposizione sui capelli. Una roba immonda: parrucche vere, manufatti piliferi, parrucchini, teste imbalsamate con pette inqualificabili. Io stavo per vomitare. Già mi schifano i miei di capelli quando ne trovo, quelli degli altri, messi in una teca e esposti come fossero pregiati, mi hanno ribaltato non poco il mio fragile stomaco. Nonostante in due avessimo il principio di una tendinite per i miliardi di chilometri fatti, abbiamo girato il piano in cerdo 3 minuti netti. Poi vabbè, io sono pesa come il tuono e ho esposto sobriamente la mia opinione "Sta esposizione fa cagher". Ma la collezione permanente la consiglio, eh.
Usciti, abbiamo deciso di andare verso Trocadero, girovagando per il mercatino di fianco alla fontana e di avviarci verso casa per poi uscire per cena. Vicino all’alberghetto abbiamo trovato un’enoteca dove abbiamo comprato una bottigliozza di spumante per festeggiare alla grande (….) il fantastico 2013 che ci attende (…..). Siamo usciti e giustamende, pioggia malefica, non vuoi scendere? Ci siamo avviati verso gli Champs Elysees. 27 anni di servizi di Studio Aperto in cui si inquadrano i campi elisei (cit. A.) con milioni di francesi che brindano ci hanno traviato, poi durante il nostro pellegrinaggio all’arco avevamo visto dei mercatini molto belli (leggi: un sacco da mangiare) da cui ci potevamo approvvigionare. Decidiamo di avviarci. Arriviamo con la metro alla fermata Champs Elysees: dico solo che mi HANNO PERQUISITO. A me. Mi hanno trovato il bottigliozzo infilato nella borsa ma devono aver capito che eravamo due poveri turisti, visto il mio zoppicare e le occhiaie da camminata. Intanto i poliziotti erano in tenuta da sommossa, coi caschetti, i MITRA, i manganelli e gli elmetti. Io poi che sono nata con un senso di colpa di cui non spiegherò mai, ero già pronta a dire che sì, avevo fatto tutto io. Tutto cosa non si sa, ma a me le forze dell'ordine mettono ansia e mi innervosisco, quindi poi loro pensano che io sia una psicopatica con problemi comportamentali. Lo pensano. Perchè non è vero, ok?
Comunque gli Champs (con che confidenza ne parlo) erano ancora aperti al traffico e noi ci chiedevamo quando li avrebbero chiusi. Abbiamo inziato a girare su e giù per sto stradone. Non capivamo come si sarebbe capito l'arrivo della mezzanotte perchè non c'era effettivamente nulla che servisse per un tamarrissimo conto alla rovescia. Infatti. Abbiamo anche assistito a un quasi suicidio. Tenete conto che pioveva a secchiate e noi eravamo due pulcini (<3). Un tipo di fianco a noi con le scarpe infilate a ciabatta (che già lì), cade e per poco non si frantuma la testa contro un'aiuola. Poi si è rialzato come se nulla fosse e ha ricominciato a bere coi suoi amici intorno preoccupatissimi. Ho iniziato a ridere. A. era preoccupato perchè il tipo era effettivamente caduto di faccia, ma io NOH!! Ho riso un sacco. Quindi se vi fate male, non fate affidamento su di me. Comunque dopo aver riso 20 10 minuti mi son voltata perchè sentivo gente che sbicchierava. Guardo l'ora e erano mezzanotte e 5. MA NO!!
 (Non c'entrano nulla ma erano nei piedi)
Maledetti villici francesi, ma manco un conto alla rovescia, neanche un fuoco d'artificio, niente. Quindi l'ho detto a A. e tutto mesto ha stappato il nostro bottigliozzo. Imbevibile. Una roba tutt gasata che faceva friggere il naso. Tanti auguri, eh, A. Certo che un conto alla rovescia, un fuoco tamarro...niente. Allora da bravi vecchi vista la totale assenza di qualsiasi manifestazione, concerto, gente che si picchiava in preda all'alcool, siamo mestamente tornati in albergo. Ero un attimo incazzosa, in effetti, perchè non è possibile: vado a Parigi a fare Capodanno, per levarmi dalla mestizia di Parma e poi forse (ma forse) mi conveniva rimanere a festeggiare il 31 in piazza Garibaldi con tutti quei truzzetti e la movida parmigiana. Ma anche no. Forse era meglio un te, un libro e a mezzanotte e un secondo spegnere e ciao. Arriviamo in camera e festeggiamo con un altro po'  di frizzantino imbevibile. Ridiamo per tutto. Due idioti. Va beh, A. Buon anno. Mo però spegnamo chè domani dobbiamo andare alla Torre, eh. Ciao.
 
(Buon anno A.)

4° GIORNO
 
Il quarto giorno decidiamo di tornare alla Torre per visitarla. Io, da grande genio, ho detto con fare esperto e navigato: "Andiamo il 1° dell'anno. Chi vuoi che ci sia alla Torre Eiffel alle 9 del mattino" Chi vuoi che ci sia? Più meno tutta la popolazione d'Europa, a parte i miei. Una coda impressionante. Niente decidiamo di rimandare al giorno dopo. Allora ci incamminiamo verso il quartiere St. Germaine. Bello. Abbiamo camminato per le viuzze e i boulevard, guardando i negozietti, le chiesette e ci siamo fermati in un ristorantino molto simile alle nostre trattorie. Piccolissimo, ti tavoli vicinissimi, un menù con 3 piatti in croce. Scopriamo alla fine che in questo ristorante è stata ambientata la scena con Dalì in "Midnight in Paris". A. ordina le lumache. Io vomito al solo pensiero.
(Le lumache con la salsetta agliosa)
Arrivano. Le osservo. Mi obbliga a mangiarne una. Va bene. Il paradiso è a forma di lumaca, ora ne sono convinta. Buone. Buonissime, se non si pensa che non sono gli stessi esserini che strisciano lasciandosi dietro la scia di bava. E se non si masticano. Io le ho inghiottite così, quella consistenza da infradito di gomma mi blocca, ma son buone. Ma molto. Bravi fransè, bravi. Io opto per una cosa che sembra finissima a sentirla pronunciare: la boeuf bourgignonne. In pratica 'no stufato. Con una chilata di purè. Stavo per svenire alla fine, ma era spaziale.
Alla fine del pranzo abbiamo deciso di volare a Montmartre. Arrrivati, decido che voglio prendere la residenza lì. Non sembra nemmeno Parigi, ma un paesino. Casette bianche, negozietti bellissimi di abiti, profumi (uno vendeva solo le boccette, di tutte le forme, colori e dimensioni), cibo e tante, miliardi di creperie. Giriamo e saliamo la scalinata fino alla basilica del Sacro Cuore. Bellissima. Un caldo spaziale dentro, ma splendida: buia quel che basta, con un soffitto bellissimo, con decorazioni in verde e oro, un odore di cera nell'aria e un sagrato che da su una terrazza pnoramica da cui si vede tutta Parigi

(La vista dal Sacro Cuore)
 (Il Sacro Cuore)
Girovaghiamo ancora per il quartiere e effettivamente sembra di tornare indietro nei secoli, viuzze minuscole, locali dove si fanno ancora spettacoli di can-can (che io VOGLIO vedere prima di morire), negozietti d'artigianato e di abiti stupendi. La mia foga di vedere e commentare come la peggiore delle acquistatrici pazze ("Eh guarda quel quadro. Potrei prenderlo per la cucina. Non ho una cucina mia ma ci starebbe bene. Guarda quel braccialetto. Guarda quella maglia bianca. Voglio quella stampa con le baguette e il brie. Che bella. La voglio"), A.  mi ha preso un braccialettino che è stranamente fine per i miei gusti soliti a base di magliette nere e jeans...GRAZIE A!!
 
A piedi ci avviamo verso la metro per giungere a Pigalle per visitare il Moulin Rouge. A parte il sexyshop su 4 piani che vendeva anche le Jacuzzi, il Moulin Rouge è in un quartiere abbastanza bruttarello. Abbiamo anche voluto fare i signori e ridere in faccia alla nostra povertà tentando addirittura l'acquisto di due biglietti per il Moulin. Per tutta risposta la bigliettaia mi ha praticamente riso in faccia "We're sold out. Pffffff HAHAHAHAHHAHHHAH!!" Ma muori bigliettaia.
Alla sera torniamo al nostro amato Marais a mangiare e intanto girovaghiamo per i negozietti vintage. Cioè io obbligo a girovagare.
Comunque la Senna, di sera è proprio bella.
 
5° GIORNO
 
Come ultimo giorno decidiamo di andare a morire andando a fare la coda per la Torre Eiffel e per l'ennesimo giorno consecutivo ci buttiamo da Trocadero e planiamo davanti all'ennesima coda di 8 chilometri per salire a piedi. Io sbiello. Mangio i macaron che nel frattempo ho comprato per merenda e dico che "NOH. Non ha senso una coda di mezza giornata" A. mi asseconda come si fa ai folli da ragione e decidiamo di andare al Musee D'Orsay, di cui avevavmo già i biglietti dopo la buia di mezz'ora con la bigliettaia dell'Orangerie.
(Belli eh?!)
Facciamo una breve coda con altri intelligenti dal biglietto cumulativo e entriamo. Bello. Enorme. Troppo grande. Ma la sala degli Impressionisti è effettivamente bellissima. Manet, Monet, Cezanne e gli altri. Tanti cuori per questa sala. Tutti quei Cristi e Madonne sono tutti uguali, ma questi sono bellissimi. Bravo Orsay. Il museo ha 5 piani e li visitiamo tutti. combattendo coi dolori da cammino. Avremmo bisogno di un bastone a testa... All'uscita ci incamminiamo verso Notre Dame per mangiare e ci facciamo tutto il lungo Senna osservando le gallerie d'arte e d'antiquariato che troviamo lungo la via. Che belle. Sulla Senna vediamo delle barche che sembrano avere più di cento anni e sembra di essere catapultati in un'epoca lontana. Pranziamo poi visto il tempo freddo e incerto facciamo ancora una passeggiata nel quartiere latino e decidiamo di tornare verso l'albergo  e preparare tutto per la partenza. Certo. Abbiamo dormito tutto il pomeriggio. Haahahahaha. Bravi. Alla sera andiamo a Montmartre a mangiare nella creperia (così dice TripAdvisor e io CI CREDO) più buona di tutta Parigi. Ho preso una crepe leggera a base di crema ai funghi. Io sarei morta e lì e mi sarebbe andato anche bene. Al ritorno facciamo una passeggiata per una Montmartre molto più vivibile che di giorno; le viuzze sono vuote e ci siamo goduti molto di più il quartiere che il giorno precedente. Montmartre, tu sei valso tutto il viaggio, sappilo.
Decido di mangiare l'ultima crepe decente della mia vita. Il tipo deve aver pensato che io fossi deperita perchè mi ha messo mezzo barattolo di Nutella. E io mi stavo per mettere a piangere ringraziandolo fino allo svenimento. Ora posso dormire tranquilla.
 
6° GIORNO
 
Alle 3 si parte, ergo dobbiamo fare la valigia, pagare l'albergo e io devo mangiare più tortini alle fragoline possibile. Il pagamento è stato un parto. La receptionist non parlava una parola d'inglese e capire che il marchingegno della carta di credito non funzionava è stato stancante. MA paghiamo e io parto per una spedizione nel mercato coperto di fronte all'albergo alla ricerca di porcherie varie. Il mercato coperto è bellissimo. A parte l'odore. Un misto di odori di pesce, carne, salumi e frutta da far ributtare qualunque stomaco. Ma io sono forte e mi sono avventurata. Bello. Un sacco di banchi con prodotti tipici, con le anatre appese, la frutta e la verdura più bella che avessi mai visto, con dei colori accesi e profumi (almeno qui) da far svenire tanto erano buoni, croissant appena sfornati dorati, baguette lunghissime e dal profumo buonissimo, formaggi esposti come opere d'arte, patè di ogni forma e colore, tartine colorate e pesce di ogni specie. Il mio tour gastronomico finisce nella boulangerie del quartiere a piangere sulla vetrina dei dolci. Se abitassi qui sarei più obesa del solito. Come si fa a non mangiare per colazione queste pastine (pastone?) con la frutta e il cioccolato. Sarebbe un reato. Decidiamo di avviarci verso la stazione per recuperare la navetta verso l'areoporto. A De Gaulle mangiamo e A. decide di riposarsi sui divanetti, mentre io vado a svaligiare la profumeria di smalti Chanel. Ma i francesi mi odiano e nel gate non hanno gli smalti. Maledetti. E maledetta anche tu, Coco, non potevi nascere crucca così i tuoi smalti sarebbero stati venduti a caso!?!? Torno con un muffin al cioccolato del bar. Sono felice. Poi partiamo. Parigi, adieu. Devo ancora se è stato bello, ma comunque Parigi non si nega mai a nessuno.
 
Ora, un paio di considerazioni.
Parigi. Sono tornata il 3 gennaio e ancora devo capire se effettivamente mi è piaciuta. L'ho trovata sporca e poco ospitale, con monumenti al di sotto delle mie aspettative, ma capisco che le mie aspettative erano molto alte. Non me la sento di sconsigliare di andarci perchè, per esempio, a mia sorella è piaciuta molto e ci tornerebbe domani. Io mi sono innamorata delle viuzze di Montmarte, delle boulangerie con i tavoli bianchi a riccioli davanti alle vetrine, della Senna (ma tutti i fiumi mi fanno questo effetto), Marais con i suoi negozietti, il museo dell' Orangerie...in quesi posti effettivamente si respira un'aria a mio parere diversa rispetto ai luoghi più "mainstream" come Notre Dame o gli Champs Elysees, il luogo più deludente che ho visitato. Consiglio un giro lungo e senza meta a Montmartre: le stradine, i negozietti, le gallerie d'arte e la piazza con tutti i pittori ambulanti hanno quella luce che può far innamorare chiunque. Poi vabbè, manco a dirlo, i dolci. Qui non posso dire nulla sui dolci: sbrodolosi come piacciono a me e tanto belli da volerli ammirare (non troppo però) prima di mangiarli.
Ma quello che non mi spiego è tutta questa allure che la Francia ha. Non me la so spiegare, ma proprio no. Ho trovato la città e i suoi abitanti strafottenti, poco educati e molto sporchi. Ma che cazzo mi guardi dall'alto in basso che oltre a essere sporco sei pure un cafone? Non li capisco, i francesi. hanno una città meravigliosa e la tengono come se fosse una roba così. Bah. Ma merita. Una volta nelle vita merita.
Poi tutti (quasi tutti, va') meritano di mangiare una crepe in riva alla Senna. A me ha aperto il cuore. Il che è tutto dire.
(Freddo? No. Perchè me lo chiedete?)